giovedì 30 giugno 2011

[BSA NAZIONALE]al fianco dei No Tav, a fianco della Val Susa! Tutti a Chiomonte il 3 Luglio

Le brigate della solidarietà attiva salutano la resistenza del popolo
dei beni comuni della Valsusa. Pur essendo impegnati nel campo di
accoglienza degna per i braccianti contro il lavoro nero di Nardò
(le), comunichiamo che una nostra delegazione sarà comunque presente
alla manifestazione del 3 luglio in Valsusa. La vostra lotta contro il
profitto e la mafia che mangia il territorio, non è differente da
quella contro il profitto e la mafia che mangia la vita e la dignità
dei lavoratori braccianti. Chi tocca uno di voi, tocca uno di noi. A
SARA' DURA!

FEDERAZIONE NAZIONALE DELLE BRIGATE DELLA SOLIDARIETA' ATTIVA

lunedì 27 giugno 2011

Battaglie senza quartiere

Siamo a documentarci sui fatti incresciosi purtroppo annunciati dell'ennesima prova di forza delle istituzioni contro il volere popolare dei cittadini,in questo caso nella Val di Susa.
Sono anni di presidi,di lotte e di occupazioni per far desistere governo Italiano e imprese dal bucare la valle,con una mega galleria e colata di cemento annesso,tutto in nome del progresso e per la Nazione!
Ma la cittadinanza si è sempre levata contro la costruzione dell'eco-mostro,assieme ai sindaci e ragazze/i dei centri sociali (al quale non vedo nessuna demonizzazione nel nominarli),si uniscono nel nome del rispetto per coloro i quali vorrebbero soluzioni migliori e condizioni di vita accettabili a livello ambientale!

Ma come si sa questa è una torta da 680.000.000 di € e per nessuna ragione al mondo se la fanno sfuggire.
Non vorrei farla lunga,voglio solo fare notare come in un paese "Democratico"si usi la forza contro coloro che alzano la voce contro il profitto di imprese private nei territori pubblici! Questo dimostra come siamo ipocriti nel puntare il dito contro nazioni tipo Iran,Cuba,Venezuela,Siria,etc.. oppure Cina (quando essa ce lo permette),senza guardare dove realmente si compiono degli scempi naturali e dittatoriali nei confronti di chi le zone le vive e ci tiene a vederle vive e verdi!
Comunque una cosa ci insegna il popolo della Val di Susa,che uniti si resiste e che le lotte devono continuare affinchè almeno una giustizia sociale sia il risultato di tante battaglie!
Uniti possiamo cambiare,Divisi possiamo solo obbedire
Giuliano

NO ALLA TAV! La lotta popolare non si arresta! Rispettate le volontà dei cittadini!

domenica 26 giugno 2011

Turni Nardò 2011 Un grado avanti

Con questo appello volevamo dire un grazie a tutte/i ragaze/i che stanno dando la loro disponibilità a questo progetto assieme a Finis Terrae Onlus!
Abbiamo quasi chiuso tutti i turni!
Ancora una volta si mostra la parte attiva della solidarietà,con ragazze e ragazzi di tutte le parti d'Italia che accorrono a Nardò,avendo svolto un lavoro ottimo nei propri territori in tutto l'anno! Non mancano le difficoltà oggettive nel mantenere in piedi sia il progetto in se che le relazioni umane coi migranti,essendo per noi principalmente delle persone con uguali diritti e doveri.
Ricordando anche la BSA Salento attiva nel progetto con la peculiarità nei rapporti col territorio,di fatto avendo la responsabilità non solo di facciata,anche di continuità.
Ricordando a tutte/i dell'apertura nei progetti a coloro i/le quali sensibilizzati dalle dinamiche politichse di questi ultimi tempi si mettono in gioco e non sono tutte/i attiviste e/o appartenenti a gruppi estremisti e ne tanto meno per forza iscritte/i a partiti,ma di fatto sono tutte persone di ogni tipo con le propire idee ma con un solo obbiettivo!
Giuliano

giovedì 23 giugno 2011

Chi lucra sull'«emergenza»-- articolo tratto da "Il Manifesto"

 di Cinzia Gubbini
PROFUGHI - La politica di «accoglienza» italiana: un monumento allo spreco
Chi lucra sull'«emergenza»
Il governo ignora i servizi di accoglienza esistenti. Ma pagherà 40 euro per profugo al giorno a una rete «parallela»

Profughi ospitati in alberghi, o in strutture private, gestite magari da cooperative che non si sono mai occupate di questioni legate all'immigrazione, e che non sanno dove mettere le mani se non offrire un servizio minimo: un letto e i pasti caldi. insomma, l'italia fa tutto il contrario di quanto prevedono le direttive europee, che pure parlano chiaro: i richiedenti asilo devono essere inseriti in percorsi di integrazione, che comprendano servizi di orientamento legale, psicologico e lavorativo. E non si tratta di essere buonisti, per quanto non ci sia nulla di male a essere buoni con chi fugge da guerre e persecuzioni, ma di una linea che coniuga i diritti delle persone a una buona gestione della cosa pubblica: non ha senso lasciare a «bagnomaria» persone che otterranno con ogni probabilità un titolo di soggiorno, vista la loro provenienza.
In Italia, al contrario, l'emergenza profughi che ha segnato questo 2011, oltre ad essere ricordata per le stragi in mare e per aver sentito il ministro dell'Interno Roberto Maroni definire quello di Bengasi un «porto sicuro» dove respingere i profughi, dovrà essere ricordata come il monumento allo spreco. E' stata creata infatti una rete di accoglienza del tutto parallela a quella «ufficiale» - che pure esiste - e perlopiù gestita privatamente. E una rete che costa.
In media 40 euro a «ospite», quando nel circuito Sprar (il Servizio per i richiedenti asilo e rifugiati che fa capo all'Associaizone dei Comuni) se ne pagano 35 - di cui il 20% a carico del progetto stesso - e con ben altri servizi.
La situazione è ovviamente molto diversa da regione a regione. Ma una cosa accomuna tutti: si lavora, per decisione del governo, in «emergenza». La «cabina di regia» - che si riunisce di nuovo domani - è diretta dal Commissario straordinario, il capo della Protezione civile Franco Gabrielli. A livello regionale il coordinamento è nelle mani dei vari referenti della Protezione Civile, che perlopiù lavorano gomito a gomito con le Regioni.
Ma ci sono anche casi, come in Veneto, in cui il governatore ha deciso di «dimissionarsi», cosicché in campo è entrata la Prefettura di Venezia. Ma come è la situazione in Veneto? «Il problema non sono le strutture, ma il progetto: inesistente. Quaranta euro per dare un letto e i pasti, schiuma da barba e shampoo e se proprio va bene un corso di italiano organizzato non si sa come», ci racconta Nicola Grigion di MeltingPot Europa, «senza contare che queste persone non hanno ancora potuto chiedere asilo».
La situazione veneta non è neanche la peggiore. A Borgo Tre Case, in provincia di Napoli, dove 101 persone sono ospitate in un albergo alle pendici del Vesuvio, non si ancora con quale prospettiva: da informazioni raccolte da alcuni attivisti della zona, infatti, nessuno di loro avrebbe avuto ancora la possibilità di formalizzare la richiesta di asilo. Chiaro che una situazione del genere dovrebbe essere soltanto provvisoria, ma intanto sono passati due mesi. I terremotati napoletani negli alberghi ci sono stati anni - tra l'altro proprio in quell'albergo, che incidentalmente è di proprietà di uno dei coordinatori locali di Forza Italia.
Una ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri, firmata il 13 aprile, prevede un «acconto» alla Protezione civile per gestire l'emergenza di 30 milioni di euro. Ma se non si deciderà di cambiare rotta 30 milioni di euro saranno davvero solo un antipasto. Il numero di profughi, infatti, si aggira sulle 12 mila unità e basta fare due calcoli per capire che a suon di 40 euro a persona in meno di tre mesi si raggiungono i 30 milioni di euro. Certo, senza contare che il «Commissario delegato», cioè il capo della Protezione civile Franco Gabrielli secondo la opcdm del 18 febbraio avrà un retribuzione pari al 30% della retribuzione annua di posizione, al netto dei compensi per le missioni. Si capisce, la fatica.
Ma hanno faticato parecchio anche i dirigenti dello Sprar a cercare di far sentire la loro voce. Sin dall'inizio hanno fatto sapere di avere a disposizione 1.900 posti, ma solo negli ultimi giorni la situazione si è sbloccata e verranno inseriti i primi 400 profughi.

martedì 21 giugno 2011

[BSA NAZIONALE]masseria aperta, rubinetti chiusi! Esigiamo il diritto di avere acqua potabile disponibile!


Lunedì, come lo scorso anno, il campo di accoglienza per i migranti stagionali gestito da Finis Terrae in collaborazione con le Brigate di Solidarietà attiva, apre i battenti a Nardò, nella masseria Boncuri. Ma, contrariamente allo scorso anno, quest'anno i migranti sono lasciati senza acqua potabile.


Noi PRETENDIAMO L'ACQUA COME DIRI...TTO ESIGIBILE, VOGLIAMO CHE L'ACQUA SIA UN BENE COMUNE ANCHE PER I BRACCIANTI DI NARDO! PRETENDIAMO CHE SIANO LE AZIENDE, CHE PROFITTANO DAL LAVORO DEI MIGRANTI, AD ATTIVARSI PER L'ACCOGLIENZA DEGNA CONTRIBUENDO A PAGARE LE SPESE NECESSARIE PER PORTARE L'ACQUA ALLA MASSERIA
 
 

domenica 19 giugno 2011

[BSA MILANO] i migranti si incatenano sotto la sede della Lega Nord

Dalle h. 19 di Ieri (19-Giugno 2011) Ci Siamo Incatenati davanti alla sede in piazza XXIV Maggio della Lega Nord. Abbiamo passato tutta la notte in piazza. Oggi Lunedì 20 Giugno ore 11 in piazza XXIV Maggio Conferenza StampaDurante la conferenza stampa, insieme alle richieste delle realtà organizzatrici verrà presentata la lettera recapitata al Procuratore di Milano, Bruti Liberati, sollecitando un incontro per aprire una trattativa in merito alla situazione delle migliaia di “truffati” durante la sanatoria colf e badanti del 2009.Verrà anche presentata la lettera che la Rete Immigrati Autorganizzati ha consegnato al nuovo Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, sollecitando un incontro nel quale poter esporre la drammatica situazione che si sta originando a Milano. L’ormai incontrollabile fenomeno delle “truffe sui permessi di soggiorno” che non si manifesta più soltanto nei periodi di uscita di sanatorie o decreti flussi e che evidenzia il vuoto legislativo esistente nella legge sull’immigrazione senza prevedere la possibilità di regolarizzazione per chi già lavora in Italia.Chiediamo al governo di rispettare la sentenza del Consiglio di Stato che prevede che sia rilasciato il permesso di soggiorno a tutti gli immigrati che avevano avuto la doppia espulsione e che avevano fatto richiesta di soggiorno con la sanatoria". La Rete Immigrati Autorganizzati chiede anche "l'apertura di un tavolo di trattativa con la prefettura e con la magistrature per le truffe durante la sanatoria".

Arci, Comitato inquilini Molise Calvairate, Naga, Rete Immigrati Autorganizzati
Per info:Arci Milano Ilaria Scovazzi 3285473099 scovazzi@arci.it
Comitato Molise Calvairate: 3280722730
Naga: naga@naga.it – 3491603305
Rete Immigrati Autorganizzati: 3200118441 - 3278841359 immigratiautorganizzatimilano@gmail.com

giovedì 16 giugno 2011

L'Italia migliore non si ferma mai:Giornate di mobilitazione contro la sanatoria truffa. Milano, Padova, Brescia, Massa, Verona

Da Padova a Brescia, da Milano a Massa ed ancora Verona, riparte la mobilitazione. Sit in, cortei, presidi permanenti, i migranti e le associazioni si mobilitano bussando alla porta di chi non vuole ascoltare.

Riparte la mobilitazione. Da Padova a Brescia, da Milano a Massa, una giornata di mobilitazione per ridare il via a molte giornate di lotta.
-  A Padova dalla mattina i migranti truffati con la sanatoria 2009 e quelli che si sono visti rigettare le domande per la cosiddetta doppia espulsione, insieme all’Ass Razzismo stop si sono uniti ai migranti tunisini approdati prima del 5 aprile a Lampedusa a cui le istituzioni nazionale e cittadine non hanno dato alcuna risposta di accoglienza e che si sono accampati insieme alle Brigate di Solidarietà Attiva ed alla Rete per l’accoglienza degna sotto la prefettura. Alle 11 si è radunato il presidio con oltre 100 migranti che prima è stato ascoltato in delegazione dalla prefettura di Padova, fermamente decisa ad "obbedire" alle disposizioni impartite da Maroni (e contrarie alla legge) e poi è stato ricevuto, dopo un mini-corteo per le strade del centro, da alcuni consiglieri comunali che presenteranno una mozione affinche il comune si attivi per chiedere l’immediata applicazione della sentenza dell’Adunanza plenaria e la convocazione di un tavolo nazionale e territorioale per discutere la questione delle truffe.
Ancora nel pomeriggio, dopo l’incontro in Comune, i migranti hanno attraversato il centro cittadino per raggiungere il Duomo ed incontrare il Vescovo che, fuori città, ha assicurato un appuntamento entri i prossimi giorni.




 fonte: meltingpot.org

[BSA PADOVA]per l'accoglienza degna migranti e associazioni si accampano davanti alla Prefettura

Noi, ragazzi tunisini che abbiamo il permesso di soggiorno per motivi umanitari a Padova chiediamo a chi amministra questa comunità di occuparsi della nostra situazione e di fare tutto il possibile ed anche di più, senza diffidenza ma con responsabilità.
Abbiamo delle necessità da esternare alla città
- una casa degna, fissa, a Padova perché vogliamo restare uniti
- la possibilità di apprendere la lingua italiana attraverso un corso
strutturato che ci aiuti nell’integrazione
- formazione professionale che ci permetta di partecipare attivamente
alla vita di questo paese
- un luogo dove poter comunicare attraverso internet
- biglietti dei mezzi pubblici
- un piccolo contributo economico che ci aiuti a vive nell’attesa di un lavoro
tutto questo ci era stato promesso dal sindaco, e noi oggi nuovamente
lo chiediamo

I ragazzi della ex-Gabelli

La dignità è un bene comune

I tunisini ex occupanti della Gabelli si sono visti costretti ad installare una nuova tendopoli.
Questa volta di fronte alla prefettura di Padova. Il periodo di due settimane di accoglienza provvisoria emergenziale garantito dalla Caritas è terminato senza che le autorità cittadine abbiano provveduto ad avviare alcun percorso di accoglienza degna .
Nonostante le promesse (vitto ed alloggio, corsi d'italiano, corsi di formazione) i 40 giovani tunisini si trovano ancora una volta ad essere trattati come pacchi, sballottati in strutture lontane e provvisorie senza alcuna possibilità di essere protagonisti di un percorso di Accoglienza che preveda un loro inserimento onesto e reale
nella nostra società. Per chi fugge dal Maghreb la legge prevede un programma umanitario, i soldi sono stati stanziati, ma i diritti sono ancora calpestati.
Ci siamo mobilitati oggi, mercoledì 15 giugno alle 10.00 davanti alla prefettura per un presidio per l'accoglienza degna, unendoci al presidio già convocato da Razzismo Stop a fianco dei migranti che
hanno subito la sanatoria truffa del 2009.

Brigate di Solidarietà Attiva Padova

sabato 11 giugno 2011

Palazzo san Gervasio: la Guantanamo italiana costruita di nascosto persino alla regione Basilicata

  cliccate sul video per vedere le violenze della polizia. I video sono stati girati dai migranti stessi, visto che nella struttura è impedito a tutti, giornalisti e persino deputati, di entrare e controllare le condizioni di vita e il trattamento dei migranti. Il tutto senza che la Regione Basilicata ne sapesse nulla: lo hanno scoperto solo grazie al reportage dell'espresso, nonostante le Brigate di Solidarietà attiva stiano monitorando la situazione da mesi.

Comunicato del governatore Vito De Filippo che vuole un'indagine sulle condizioni dei migranti "reclusi" a Palazzo San Gervasio. Ed emerge un particolare preoccupante: quando il campo venne costruito, la Regione non venne neppure informata. E il Prefetto di Potenza ammise che era stata chiesta riservatezza

POTENZA - Il campo di Palazzo San Gervasio è stato costruito in fretta e furia, in pochi giorni al momento dell'esplosione della crisi africana e, soprattutto, senza che le autorità locali della Basilicata ne sapessero nulla. E' quanto si evince dal comunicato emesso questa mattina dal governatore lucano Vito De Filippo in seguito al nostro servizio sul Cie (Centro di identificazione ed espulsione). Il racconto del portavoce del governatore, Nino Grasso, è preoccupante: "In quei giorni, forse erano i primi di aprile, venimmo a sapere dagli abitanti della zona della costruzione del campo. De Filippo fece cercare il Prefetto di Potenza che, solo a tarda sera, si fece trovare e spiegò, piuttosto imbarazzato, che avevano ricevuto ordine di allestire il campo senza dir niente a nessuno. Compresa la Regione, a giudicare dai fatti...Comunque, all'inizio era un campo di accoglienza. Poi è stato trasformato in Cie". La questione, dunque, preoccupava da tempo le autorità lucane e De Filippo in persona aveva visitato Palazzo San Gervasio. Ora, il reportage di "RE Le inchieste" ha riaperto la questione e il governatore in persona chiede un'indagine e immediati provvedimenti. Dall'interno del campo, dai migranti clandestini, intanto, arrivano segnali di paura. Nessun intervento "fisico", almeno finora, ma qualche segnale minaccioso (perquisizioni, insulti, sequestri di macchine fotografiche, rumore durante la notte per impedire il sonno) che ha fatto preoccupare i "reclusi" colpevoli di aver fatto uscire il video pubblicato da Repubblica.it. Purtroppo, a causa del divieto di Maroni per il quale i giornalisti non possono entrare nei Cie, è impossibile andare a verificare.

Ed ecco il comunicato della Regione Basilicata

"Un reportage pubblicato questa mattina sul sito internet del gruppo Repubblica-Espresso paragona il campo profughi di Palazzo San Gervasio ad una sorta di Guantanamo in salsa italiana. La sua lettura - fa sapere il portavoce del governatore lucano, Vito De Filippo - ha provocato un'intima sofferenza e un forte disagio istituzionale in chi guida la Regione Basilicata.

La nostra  -  ha sottolineato il presidente De Filippo  -  è da sempre terra di accoglienza e di grande ospitalità, soprattutto nei riguardi di chi fugge dai paesi africani sconvolti dalla guerra. Siamo stati tra i primi in Italia, nei giorni caldi della rivolta, a manifestare l'intenzione di accogliere i profughi provenienti dalla Libia. Per cui è inaccettabile che un campo di identificazione ed accoglienza (Cie) realizzato e gestito dal Ministero degli Interni, all'insaputa e senza alcun avallo da parte della massima Istituzione democratica lucana, getti  -  se fossero vere le cose denunciate - un'ombra infamante su un intero territorio e sulla sua popolazione.

Per questa ragione, il presidente De Filippo, che ha già avuto modo a suo tempo di visitare il campo di Palazzo San Gervasio mantenendo sempre alta l'attenzione sul sistema di accoglienza posto in essere dalla Protezione Civile nazionale, ha chiesto agli organi competenti di fare la massima chiarezza su quanto riportato dal reportage giornalistico, convocando, se necessario, una riunione urgente con la partecipazione delle Istituzioni democratiche interessate".

fonte: www.inchieste.repubblica.it

20 giugno 2011 - Mobilitazione nazionale contro il confinamento e per l’accoglienza degna

Il 20 giugno 2011 si celebra la giornata mondiale del rifugiato.
Non sarà una giornata come le altre.
Il nostro paese infatti è travolto da un’emergenza. Non per gli sbarchi, non per il numero dei migranti approdato sulle nostre coste.
Si tratta invece di una emergenza democratica, una emergenza accoglienza, un’emergenza dignità e giustizia, creata da questo Governo con le sue scelte scellerate, ancora una volta, per giocare sulla pelle dei migranti la sua partita.
Hanno istituito CIE temporanei in cui le condizioni di vita sono invivibili. Stanno trattenendo illegalmente i migranti senza il rispetto dei principi costituzionali, senza garanzie di difesa, fuori da ogni protocollo, in deroga all’ordinamento giuridico nazionale ed alle direttive europee. Hanno oscurato agli occhi del Paese ciò che avviene all’interno dei CIE e dei CARA. Hanno costruito tendopoli disumane. Intorno all’emergenza finta hanno costruito anche l’accoglienza finta, mettendo all’angolo i circuiti del sistema SPRAR per dare corpo ad un sistema di distribuzione dei migranti che non prevede diritti e garanzie abbandonando i cosiddetti “profughi” ad un destino senza prospettive. Intanto le Commissioni tardano a procedere con l’esame delle domande. Hanno abbandonato ancora una volta l’Isola di Lampedusa creando lì e altrove tante piccole e grandi situazioni di ingiustizia e di conflitto, per alimentare la retorica dell’invasione. Alcune Regioni hanno scatenato un dibattito infuocato contro l’accoglienza pur avendo sottoscritto il Piano del Governo. Non esiste nessuna garanzia di ospitalità per i migranti tunisini titolari del permesso umanitario nonostante il Piano del governo lo preveda. Hanno rimpatriato e respinto, pattugliato e stretto accordi ed intanto nel mare che ci separa dall’altra sponda del Mediterraneo si muore. Negli ultimi 4 mesi un numero di morti senza precedenti nel mare più frequentato del mondo a causa della guerra contro Gheddafi.
Le rivolte ed i conflitti del Nordafrica si sono trasformati nell’ennesima occasione per ridisegnare la mappa del confinamento dei migranti in un Paese che invece aveva bisogno di nuove pratiche di accoglienza, di una spinta per la costruzione di un vero diritto d’asilo europeo, di una nuova normativa sull’immigrazione, di nuovi diritti di cittadinanza.
Per questo facciamo appello a tutti, perché il prossimo 20 giugno 2011 i tanti luoghi del confinamento presenti in questo paese, le strade, le piazze, siano attraversate da un vento diverso.
Per una giornata di mobilitazione contro il confinamento e per l’accoglienza degna.

RETE WELCOME
ARCI
BRIGATE DELLA SOLIDARIETA’ ATTIVA
RETE PER AUTORGANIZZAZIONE POPOLARE
per adesioni: redazione@meltingpot.org

giovedì 9 giugno 2011

[FINIS TERRAE] Un pò di storia del campo di Manduria

contenere l'emergenza sbarchi successiva al conflitto libico. Ma questo come altri sorgono proprio nei luoghi in cui la manodopera per l'agricoltura è più richiesta
di Paola De Pascalis*

ATTUALITA'. Nel tentare di ripercorrere gli eventi relativi alla nascita ed ai successivi sviluppi del Centro di Manduria, è necessario assumere come cifra dell’intera vicenda la confusione che si è registrata sin dall’inizio intorno alla natura del Campo, nonché alle dinamiche sottese allo stesso e come tutto ciò si ripercuotesse sui migranti presenti, alimentando negli stessi un diffuso senso di smarrimento.
Una confusione data non soltanto da una martellante campagna mediatica e politica incentrata sul tema dell’invasione. Ha giocato un ruolo decisivo, nel delineare tale clima, un trattamento istituzionale della questione segnato da un’estrema porosità dei confini tra incapacità e non volontà di governare il fenomeno. Un fenomeno, va sottolineato, le cui dimensioni sono state decisamente ridotte rispetto a quelle paventate dal Governo, che parlava dell’arrivo di 350.000 persone, al fine, non ultimo, di alimentare la paura “dell’invasione” e rispetto a quelle realmente conosciute in altre passate emergenze umanitarie affrontate dall’Italia (come nel caso della guerra in Kosovo).

La stessa questione dello statuto giuridico da attribuire ai cittadini tunisini sbarcati sulle nostre coste è stata pervasa dall’incertezza. Se infatti i primi arrivi erano stati gestiti attraverso il trasferimento nei CARA (Centri per Richiedenti Asilo), nel momento in cui si è registrato un aumento di sbarchi, si è proceduto, nell’arco di due giorni, alla costruzione a Manduria di questa struttura gigantesca, destinata ad accogliere fino a 3.000 migranti. Una decisione presa in aperto spregio delle norme esistenti, della legislazione vigente, di quanto emerso dalle conferenze stato-regioni e dalla concertazione con gli enti locali.
L’ambigua natura giuridica del centro (CIE? CARA? CDA?) ha generato una ridda di voci e la mobilitazione di amministratori ed attori politici locali, nel quadro di una concitazione e di un disordine notevoli. Non deve pertanto stupire che, ad un certo punto, il Ministero dell’interno abbia emanato la Circolare n. prot. 1305 del 1.4.2011, cancellando di fatto la Circolare “Amato” ed impedendo l’accesso nei CIE e nei “centri di accoglienza variamente denominati” a soggetti diversi da organismi pubblici ed internazionali come OIM, CRI, CARITAS. Ciò evidentemente ha comportato l’impenetrabilità di questi centri e l’evidente impossibilità di un rigoroso controllo del rispetto dei diritti di informazione legale e di difesa. D’altra parte, in poco tempo, Manduria ed Oria si son trasformate in un CIE a cielo aperto, con un dispiegamento ingente di forze dell’ordine nei paesi, presso le stazioni, lungo le vie che portavano dal campo alle città e nei campi limitrofi (con l’utilizzo anche della forestale a cavallo!).
Presso il campo di Manduria è stato quindi inibito l’accesso a parlamentari, giornalisti e associazioni di tutela. Queste ultime, in realtà, sin da principio non hanno avuto accesso all’interno del campo, nonostante, come nel caso di Finis Terrae, avessero presentato regolare richiesta in Prefettura sin dai primi giorni di apertura dello stesso. Richiesta rimasta totalmente disattesa e priva di riscontro.
Nel frattempo, il basso profilo tenuto dalle forze dell’ordine e il carattere in linea di massima fluido del campo ha fatto sì che i tunisini presenti (formalmente stimati in 2000 presenze) potessero entrare ed uscire dalla struttura e questo ha permesso alle associazioni di intercettare i migranti fuori dal campo e di fornire loro tutte le informazioni di carattere legale e socio-sanitario.
La stesura di un volantino in arabo, contente tutte le informazioni di orientamento legale e l’intervento di un team formato da nostro mediatore linguistico-culturale, un operatore legale ed un avvocato, ci ha permesso, come associazione, di intervenire diffusamente, promuovendo assemblee spontanee di migranti, nel tentativo di colmare la totale mancanza di informazioni che aveva generato tra di essi un forte senso di smarrimento. Disinformazione e smarrimento non potevano che produrre clandestinità: non pochi sono stati coloro che, in assenza di qualunque orientamento legale, hanno deciso di lasciare la cittadina pugliese per salire su un treno, con il risultato di esporsi al rischio concreto di un’espulsione (come in effetti per alcuni di essi è stato).
Parallelamente, il campo è diventato in breve tempo il teatro di passioni e manifestazioni: dai presidi di protesta alle ronde impegnate in una grottesca e disgustosa “caccia al tunisino”, come ampiamente riportato dai mass-media nazionali, passando per l’attivismo di gruppuscoli fascisti che, alla stazione di Oria, impedendo ai tunisini intenzionati ad allontanarsi di salire sui treni, si dimostravano zelanti adepti della “lotta all’invasore” che altri predicavano dagli schermi, dalle testate dei giornali e dalle alte cariche del Governo.
Finis Terrae e le altre associazioni antirazziste presenti a Manduria hanno così avviato un intenso lavoro informativo attraverso numerose assemblee informali e momenti di confronto con i tunisini, aprendo spazi di mediazione e trattative serrate anche con le autorità (soprattutto Questura e Prefettura) ed attraverso i quali si è spesso impedito, soprattutto nei pressi della stazione, che la situazione degenerasse in episodi di repressione violenta a causa delle comprensibili tensioni a cui sono stati sottoposti i migranti, ai quali di fatto veniva impedito di salire sui treni e di raggiungere l’unica cosa che essi realmente desiderassero: la libertà.
Tutto questo avviene, quindi, in un clima particolarmente teso: il 2 aprile 2011, dopo settimane di stallo ed in seguito ad una manifestazione antirazzista, centinaia di migranti forzano i cancelli ed escono in massa dal campo al grido di “Liberté!”. A partire dal giorno successivo, prende corpo e cresce l’iniziativa dei migranti: iniziano infatti i sit in di protesta per denunciare l’assenza di cure sanitarie e di informazioni, le condizioni del campo e il fatto che molti di essi non sono ancora stati messi in grado di presentare regolare richiesta d’asilo. I tunisini escono dal campo con masserizie e cuscini, dormono all’aperto e discutono sotto lo sguardo delle forze dell’ordine, che mantengono un atteggiamento di non repressione. È in questo contesto che giunge la notizia della promulgazione del decreto per l’emissione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Inizia così una seconda fase, fatta di assemblee per socializzare le informazioni relative alle modalità richieste dal decreto, alle opportunità offerte dal permesso di soggiorno e, più in generale, di orientamento socio-sanitario. Si tenta di rispondere agli innumerevoli interrogativi e bisogni espressi dai migranti sia rispetto alla loro condizione sia rispetto alle possibilità di raggiungere le loro mete migratorie. Si tratta in larga parte di uomini giovani, spinti a migrare da motivi spesso confusi e poco delineati: per molti di essi la partenza è stata dettata dal clima di instabilità che ha travolto la madrepatria. Alcuni, spaventati dalla situazione in cui si trovano una volta arrivati in Italia, desiderano tornare nel loro paese d’origine. Il lavoro informativo si svolge in modo frenetico e intenso.
Contemporaneamente, in contrapposizione con quanto avvenuto nei primi giorni, si assiste alla discesa in campo di uno spontaneo tessuto sociale e civile, solidale ed antirazzista: i capannelli di discussione si alternano e si mescolano con momenti ludici, di aggregazione e di conoscenza. I pugliesi portano al campo beni di prima necessità, palloni per giocare a calcio, musica popolare e, soprattutto, attivano - con le associazioni locali, gli enti di tutela, cittadini e diversi giornalisti (locali e nazionali) - un insieme di dinamiche che hanno contribuito a scongiurare fenomeni di repressione e a fare di Manduria una struttura aperta, a differenza di altre realtà simili sparse sul territorio nazionale, nonostante l’alto grado di militarizzazione della zona.
In tutto ciò non può non registrarsi l’assenza rumorosa della Chiesa, nelle sue svariate forme, sia di interventi e solidarietà da parte delle singole parrocchie locali in quanto tali, sia nella sua massima espressione associativa attraverso la Caritas.
A quasi due mesi di distanza dagli eventi e con lo sguardo rivolto ai recenti sbarchi di profughi eritrei, somali, etiopi e libici, la situazione appare tutt’altro che pacificata e numerosi sono gli interrogativi che essa suscita. A partire da un elemento che non può passare inosservato: la non causale sovrapposizione tra la pianta dei centri aperti in questi mesi per gli uomini e le donne provenienti dalle rive meridionali del Mediterraneo e la mappa dell’agricoltura del nostro Mezzogiorno, bramosa di manodopera ricattabile ed a basso costo per la raccolta dei prodotti ortofrutticoli. Una constatazione che si accompagna alla convinzione che la vicenda si sia tutt’altro che conclusa con lo spegnersi dei riflettori.

*Paola De Pascalis è collaboratrice di Finis Terrae Onlus, Onlus attiva a Manduria
articolo tratto da: corriereimmigrazione.blogspot.com

martedì 7 giugno 2011

INGAGGIAMI CONTRO IL LAVORO NERO – CAMPO DI NARDO’ 2011


Anche quest’anno, in collaborazione con Finis Terrae, le BRIGATE DI SOLIDARIETA’ ATTIVA promuovono la campagna “INGAGGIAMI CONTRO IL LAVORO NERO” proponendo un campo di accoglienza rivolto ai lavoratori stagionali raccoglitori di angurie, a Nardò – Lecce dal 15 giugno al 30 agosto.
Un punto di partenza per la sensibilizzazione e l’acquisizione dei diritti base dei lavoratori migranti, contro lo sfruttamento del lavoro nero e la logica del caporalato.

CERCHIAMO VOLONTARI DISPONIBILI  PER LA GESTIONE DEL CAMPO E LO SVILUPPO DEL PROGETTO, su turnazioni settimanali da definire.
Per chi volesse aiutarci e magari contribuire potete farlo inviando un contributo al seguente IBAN:
IT10 N033 5901 6001 0000 0018 770
Oppure magari se volete contribuire alla costruzione del campo servono brandine,buoni benzina per nostro mezzo sul post,oppure per saperne di più anche inviando un SMS o telefonando al 3923042288 Giuliano

INFO
Blog: http://brigatesolidarietaattiva.blogspot.com/
mail: BSA-Nazionale@yahoogroups.com

domenica 5 giugno 2011

il 12 e 13 giugno 4 si contro la mercificazione dell'acqua, contro il nucleare, contro il legittimo impedimento

articolo tratto da: http://senzasoste.it/ambiente/giuda-ai-questiti-referendari-su-acqua-e-nucleare

Il 12 e il 13 giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimere il loro parere su due temi fondamentali: l'acqua e il nucleare. Di seguito un vademecum per capire quali sono le principali questioni legate ai quesiti referendari e perché sarà di estrema importanza che almeno 25 milioni di persone si rechino alle urne e votino per tre volte sì
Il 12 e 13 giugno si voterà su due temi di fondamentale importanza: l'acqua e il nucleare
Di seguito cercheremo di capire perché è importante – ma più che importante fondamentale, essenziale – che il 12 e il 13 giugno prossimi una gran folla di gente vinca l'apatia dell'afa estiva, si stacchi dal ventilatore e si rechi alle urne a votare. Mi scuso fin da subito per i toni un po' più colloquiali e spicci di quanto si dovrebbe che userò nel corso dell'articolo, ma è bene intendersi fin da adesso: qui è in gioco una buona fetta del nostro futuro, e di quello dei nostri figli e nipoti.
Sono quattro i referendum in questione: due riguardano l'acqua, uno il nucleare, uno il legittimo impedimento. Di quest'ultimo non ci occuperemo in questa sede, dato che si tratta di un argomento molto circostanziato, che poco ha a che fare con gli altri due.
Iniziamo col chiarire un aspetto tecnico, che so per esperienza non essere così immediato. Chi vorrà affermare, in sede referendaria, che l'acqua è un bene comune e che il nucleare deve essere messo definitivamente al bando, dovrà votare per tre volte SI. Poi analizzeremo nel dettaglio cosa significa ciascuno di questi sì, ma vorrei fosse chiaro fin da ora che anche per dire no al nucleare va sbarrata la casella del sì. Se infatti è abbastanza intuitivo che si debba votare sì per l'acqua pubblica, potrebbe apparire un controsenso, a chi non abbia qualche nozione giurisprudenziale, barrare il sì per fermare il nucleare.
La ragione di questo apparente controsenso va ricercata nelle regole dell'istituto referendario. Sebbene nel nostro paese siano costituzionalmente previste quattro diverse forme di referendum, l'unica di fatto utilizzata è il referendum abrogativo. Quello cioè che chiede agli elettori se vogliono abrogare – ovvero sopprimere – una determinata legge o parte di essa. Tutti i referendum abrogativi iniziano così: “volete voi che sia abrogato” eccetera eccetera. Ecco quindi che per dire no al nucleare vi sarà chiesto di abrogare la norma che sancisce la sua introduzione nella legislazione italiana. Fatta questa doverosa precisazione andiamo ad analizzare più nel dettaglio i contenuti dei tre referendum.
L'ACQUA
Acqua bene comune
L'acqua è un bene comune che appartiene a tutti
Partiamo dall'acqua, e scusatemi se mi dilungherò un po' nelle spiegazioni, ma è giusto che chi andrà a votare abbia tutte le informazioni necessarie per prendere liberamente e consapevolmente la sua decisione. La mia esperienza ai banchetti di raccolta firme mi dice che molto poco si sa sul processo di privatizzazione da anni in atto in Italia. A chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere il libro di L'acqua è una merce di Luca Martinelli (lo trovate fra quelli consigliati in calce a questo articolo). Qui ci limiteremo a richiamare le due principali tappe della privatizzazione: la legge Galli ed il decreto Ronchi.
La legge Galli, numero 36 del 1994, suddivideva il territorio italiano in una serie di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) all'interno dei quali “l'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue” doveva essere gestito da un unico soggetto 'affidatario'. Le caratteristiche dell'affidatario potevano essere le seguenti: una società per azioni a totale capitale pubblico (che prende il nome di in house); un partner privato da affiancare al vecchio gestore pubblico, scelto con gara aperta a tutti i concorrenti europei; un soggetto privato. La legge, inoltre, introduceva il principio del full recovery cost: sanciva cioè che tutto il costo della gestione del servizio idrico fosse caricato sulla bolletta e non rientrasse più fra gli ambiti della fiscalità generale (fatto di dubbia costituzionalità, visto che così il prezzo perde ogni rapporto con il reddito di chi usufruisce). In particolare veniva stabilito un addebito in bolletta che garantisse un 7% di guadagno minimo al gestore. L'acqua fu resa, di colpo, un investimento molto appetibile.
Il decreto Ronchi, decreto legge numero 135 del 2009, trasformata nella legge Ronchi-Fitto nel novembre dello stesso anno, ha completato l'opera di privatizzazione mettendo definitivamente al bando tutti quei comuni che avevano scelto la gestione in house. Si tratta di una legge sull'attuazione degli obblighi comunitari e i servizi pubblici locali che all'articolo 15 – quello incriminato – recita “adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici di rilevanza economica”. È chiaro fin da subito, dunque, che l'acqua è considerata alla stregua di una merce. Nella legge, poi, sono presenti alcune incongruenze che rendono chiaro come la tanto sbandierata “liberalizzazione dei servizi” si traduca in una svendita a favore dei grandi investitori privati. La prima viene definita da Daniele Martinelli “paradosso del mercato”: si prevede che tutti i soggetti privati scelti con affidamento diretto per affiancare i gestori pubblici mantengano le proprie quote, e che la partecipazione degli enti locali in queste società scenda sotto la soglia del 30 per cento entro il 2015. In altre parole, da un lato viene rivelato che alcuni soggetti privati si sono inseriti nella gestione pubblica dei servizi idrici senza passare per alcuna gara (come invece previsto dalla legge Galli); dall'altro viene concesso a tali soggetti di restare “in sella”, anzi di accrescere la propria partecipazione a discapito del pubblico, contraddicendo la legge del mercato (e della concorrenza) sul cui altare sono state sacrificate le gestioni in house. La seconda incongruenza viene definita “fallimento del mercato”: la legge prevede infatti che in alcune “situazioni eccezionali”, determinate da “caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale […] l'affidamento può avvenire a società a capitale interamente pubblico”. Ciò significa che il privato sarà libero di investire solo laddove ritiene possibile garantirsi un profitto.
Dopo questo excursus negli aspetti giurisprudenziali del processo di privatizzazione, occorre smentire alcuni luoghi comuni, confezionati ad arte, che circolano da tempo fra coloro che osteggiano i referendum e continuano a ripetere come un mantra che “privato è bello”. Eccoli di seguito.
Scorie radioattive
L'acqua è un investimento reddeitizio grazie alle leggi attualmente in vigore, che prevedono una remunerazione minima garantita dell'investimento
Privatizzazione=efficienza, efficacia, economicità. Partiamo da quello forse più utilizzato dai fautori delle privatizzazioni: le famose “3 e” che caratterizzerebbero in positivo il privato rispetto ad un pubblico per assioma lento, inefficiente e caro. Partiamo dall'ultima “e”, l'economicità, dimostratasi fin da subito del tutto inveritiera. I comuni che hanno già sperimentato l'affidamento privato sanno bene che nella maggior parte dei casi le bollette hanno subìto impennate significative. In Toscana, una delle prime regioni ad adeguarsi quasi completamente alle norme di privatizzazione, si beve l'acqua più cara d'Italia, con un aumento tariffario che nell'ultimo anno è stato dell'11,8 per cento. L'aumento dei prezzi – che gli stessi fautori della privatizzazione si sono trovati costretti ad ammettere – viene generalmente giustificato con la scusa degli investimenti: le bollette sono più care perché sono stati fatti più investimenti per migliorare le reti idriche, che in Italia versano in condizioni disastrose (si perde quasi il 50 per cento dell'acqua potabile). Ma non è così. Gli investimenti necessari sono tanti di tale portata che nessun privato ha la capacità – e l'intenzione – di sobbarcarseli. Lo dimostra un'indagine di Mediobanca: il miglior acquedotto d'Italia – a livello infrastrutturale – è quello di Milano e provincia, gestito da Metropolitana Milanese (100% del Comune di Milano) e da Amiacque (100% pubblica); il peggiore è quello romano, gestito da Acea, una delle società più invischiate nel processo di privatizzazione, sulla quale hanno già messo le mani il Gruppo Caltagirone ed una multinazionale francese del calibro di GDF Suez.
Privatizzare=liberalizzare. Un'altra tecnica molto in voga al giorno d'oggi è quella di cambiare le parole lasciandone invariato il significato. Ecco quindi che i temibili inceneritori diventano dei più rassicuranti “termovalorizzatori”, ed ecco che le privatizzazioni diventano liberalizzazioni. Ma se già questa pratica di scambio è odiosa a prescindere, nel caso dell'acqua risulta persino spudoratamente menzognera. Quando si parla di liberalizzazione infatti, si parla di apertura al mercato e alla concorrenza. Nella gestione del servizio idrico, invece, non c'è nessuna concorrenza. Una volta che il privato si è aggiudicato la gara d'appalto, egli resta in una condizione di assoluto monopolio per 20-30 anni, la durata del contratto. Altro che liberalizzazione, qui si sostituisce il tanto biasimato “monopolio pubblico” – già di per sé una contraddizione in termini – con un ben peggiore “monopolio privato”.
Gestione privata=acqua pubblica. Infine ecco il più infido degli inganni, quello che vuole che ad essere privatizzata sia solo la gestione del servizio, mentre l'acqua, la sostanza, rimarrebbe un bene comune inalienabile. E ci mancherebbe! Nessuno sarebbe in grado, anche volendo, di appropriarsi e ingabbiare una risorsa che sgorga dalla terra e cade dal cielo. Ma ciò che interessa l'uomo nella sua vita di tutti i giorni è la sua gestione: chi porta l'acqua nella sua casa, a che prezzo e di quale qualità. Ci interessa che venga garantito a tutti il libero accesso alla risorsa. Che importa che questa sia formalmente di tutti se poi non tutti possono permettersela?
Ecco allora che per riaffermare la proprietà – o gestione che dir si voglia – comune dell'acqua sono stati elaborati due quesiti referendari (erano inizialmente tre ma uno non ha passato il vaglio della Corte Costituzionale).
Il primo richiede l'abrogazione dell'art. 23 bis Legge 133/08 e sue successive modifiche introdotte con l'Art. 15 del famoso Decreto Ronchi, di cui abbiamo già parlato prima (D.L. 135/2009); annullando tale articolo – che stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati o a società a capitale misto pubblico-privato – si vuole contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici.
Il secondo richiede l'abrogazione della parte dell'art. 154 del Decreto Ambientale 152/06 relativa alla remunerazione del capitale investito; si tratta di un decreto che, integrando e in parte sostituendo la Legge Galli, stabilisce che “la tariffa è determinata tenendo conto [...] dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito [...]”; abrogando questa parte di articolo si annulla il principio del profitto minimo garantito, rendendo l'acqua un investimento non più così conveniente.
IL NUCLEARE
Scorie radioattive
Le scorie nucleari restano radioattive per oltre 200mila anni
Per quanto possa sembrare strano, non tutti sanno che l'Italia ha un trascorso abbastanza significativo di produzione di energia nucleare. La storia del nucleare nel nostro paese è iniziata nel 1963, con la costruzione della prima centrale, a Latina. Seguirono, nel giro di neanche un decennio, le centrali di Sessa Aurunca, Trina e Caorso. Già nel 1966 l'Italia era il terzo paese per produzione di energia nucleare al mondo, dopo Usa e Inghilterra. Poi nel 1987 il mondo intero fu scosso dal disastro di Černobyl' e l'energia nucleare si rivelò all'improvviso per quello che è: un pericolosissimo ordigno pronto ad esplodere in qualsiasi istante. In Italia si decise di correre ai ripari indicendo un referendum. Quasi 30 milioni di elettori accorsero alle urne per bandire definitivamente, così almeno speravano, le centrali nucleari dal nostro paese. Nel 1990 l'ultima centrale venne dismessa. Dunque è durata poco più di vent'anni l'esperienza nucleare italiana, ma questi sono bastati a produrre scorie radioattive di cui il paese non sa come liberarsi, che ancora oggi inquinano mari e terreni coltivati.
Poi, a 18 anni di distanza, con il decreto-legge numero 112 del 2008 il Governo ha deciso di tornare indietro, annullando la volontà dei cittadini e reintroducendo l'energia nucleare. Il decreto è stato poi convertito nella legge 133/2008, approvata dal Senato con 154 voti a favore, un solo voto contrario e un solo astenuto, con Pd e Idv che hanno abbandonato l'Aula al momento del voto. A poco sono valse le proteste ed i ricorsi intentati dalle regioni: il nucleare in Italia “s'ha da fare”.
Il problema maggiore che si sono trovati ad affrontare il Governo e la potente lobby del nucleare, è stato come convincere le persone – in buona parte le stesse che nell'87 dissero di no – che il nucleare è cosa buona e giusta; come mascherare la belva da cucciolo. Ecco allora che, scervellandosi, si sono inventati una sequela di fandonie persino più colossali ed abbondanti di quelle sull'acqua.
Un'ottima ricognizione è quella fornita da Legambiente in un ampio contributo che rendiamo disponibile a lato di questo articolo. Alcune sono menzogne spudorate: “il nucleare è una fonte di energia rinnovabile”, “il nucleare sarà la prossima fonte energetica del futuro nel mondo”; è ovvio che il nucleare non è un'energia rinnovabile in quanto si basa sullo sfruttamento di una materia prima, l'uranio, presente in natura in quantità finite (per non dire scarse), e di conseguenza è altrettanto palese che l'energia del futuro non sarà quella nucleare. Altre più sottili: “il nucleare è pulito”, “il nucleare aiuta a ridurre il surriscaldamento del pianeta”; certo il nucleare è più pulito rispetto ad una centrale a carbone in termini di emissioni, ma come vedremo le perdite radioattive in seguito agli incidenti ed il problema delle scorie rendono quella nucleare un'energia tutt'altro che pulita. Altre ancora, infine, erano considerate quasi dei dati di fatto assodati prima che l'ennesimo disastro, quello di Fukushima, svelasse al mondo intero la loro natura menzognera: “il nucleare di nuova generazione è sicuro”, “un disastro come quello di Černobyl' non potrà più ripetersi”.
Questa sequela di luoghi comuni e falsità serve a coprire le tre grandi aree problematiche che riguardano il nucleare: la sicurezza, lo smaltimento delle scorie e l'antidemocraticità.
Esercito
L'energia nucleare è eltamente antidemocratica in quanto è affidata nelle mani degli eserciti che possono decidere quali informazioni divulgare e quali tenere segrete
La sicurezza. Dicevamo che la lobby dei nuclearisti era quasi riuscita a convincere il mondo sulla sicurezza delle nuove centrali nucleari. È stato necessario un altro disastro di portata planetaria per svelare le fragili basi su cui poggiavano i loro teoremi. Ma Černobyl' e Fukushima sono solo due dei casi più eclatanti di una miriade di incidenti che costellano la storia dell'energia nucleare. In 50 anni si sono verificati circa 150 incidenti nucleari, di cui 14 compresi fra i livelli 4 e 7 della scala di pericolosità stilata dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. Il fatto è che la presunta sicurezza delle centrali si basa su una concezione di rischio relativa a ciascuna zona. In Giappone, ad esempio, nessuno pensava che potesse arrivare un terremoto superiore agli 8,5 gradi della scala Richter, dunque le centrali erano progettate per resistere a scosse fino a quella entità. Poi è arrivato un sisma di 8,9 e le strutture non hanno retto. Le centrali italiane saranno costruite per resistere a delle scosse di circa 7,1 gradi, ma nessuno ci assicura che un giorno non arriverà un sisma più potente. Quello della sicurezza, poi, non è certo l'unico problema relativo all'energia nucleare. Forse è il più eclatante, probabilmente non il più pericoloso.
Lo smaltimento delle scorie. I rifiuti delle centrali nucleari, le cosiddette scorie, restano radioattive per un tempo che supera i 200mila anni. In queste poche parole sta racchiuso l'aspetto più oscuro e spaventoso dell'energia nucleare. È evidente infatti che, per quanto si affannino in molti a ribadire la sicurezza dello stoccaggio delle scorie, non esiste nessun materiale, né il vetro, né l'acciaio (attualmente i due materiali più usati per contenere i rifiuti radioattivi) capaci di durare tutto questo tempo. Stiamo caricando delle bombe ad orologeria sulle spalle delle generazioni a venire. Ci abbiamo riempito il mare, rimpinzato il ventre della terra. La follia di questa operazione risulta evidente da un dibattito attualmente in corso fra i “filosofi” del nucleare: se sia meglio segnalare la presenza delle scorie alle future generazioni o nasconderle in luoghi dove si pensa che nessuno andrà a scavare. Da una parte c'è chi ipotizza di costruire degli enormi segnali di pericolo in un linguaggio comprensibile alle future civiltà in corrispondenza delle discariche di scorie, poste in genere a grandi profondità in bolle di argilla. Dall'altro c'è chi si chiede se una costruzione non possa invece sortire l'effetto contrario, ovvero attirare l'attenzione e spingere ad indagare, scavando; dunque, se non sia meglio stipare i rifiuti tossici in luoghi il più possibile anonimi e privi d'interesse. Ma chi può prevedere come sarà un luogo fra 200mila anni? Chi può immaginare come sarà il mondo allora? È come se l'uomo di Neanderthal si fosse dovuto preoccupare di comunicare con noi: siamo sicuri che avremmo recepito il messaggio?
L'antidemocraticità. Un'ultima area problematica relativa all'energia nucleare è quella della mancanza di democrazia nella sua gestione. Le centrali nucleari, nel mondo, sono sotto il diretto controllo degli eserciti o di collegi specifici, che possono decidere quali informazioni diramare, quali tenere segrete. Come ammette Renaud Abord de Chatillon, ingegnere membro del Corps des Mines (il collegio che controlla il nucleare in Francia), “l'industria del nucleare non sa che farsene della democrazia, è simile ad un'aristocrazia repubblicana. E dove c'è aristocrazia non c'è spazio della democrazia”. La segretezza che circonda il nucleare ha indotto molti a pensare che il nucleare civile, quello usato per la produzione di energia, nella maggior parte dei casi non sia che una mera copertura per i programmi nucleari militari. Come sostiene il fisico Amory Lovins, “l'elettricità in una centrale nucleare non è che un sottoprodotto”.
Per fermare il ritorno del nucleare in Italia il quesito referendario presentato dall'Italia dei Valori propone di abrogare l'articolo 7, comma 1, lettera d del decreto-legge 112 del 2008, che prevede la "realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare".

CONNESSIONI
Nucleare e acqua
Nucleare e acqua: due tematiche fortemente correlate
Lungi dall'essere due temi distanti l'uno dall'altro, acqua e nucleare presentano una fitta rete di connessioni. L'acqua infatti è sempre il primo elemento a fare le spese dell'inquinamento radioattivo, e la contaminazione delle falde acquifere da parte delle scorie nucleari è ad oggi uno dei rischi maggiori per il pianeta. Nell'attuale cataclisma Giapponese l'acqua del mare nei pressi della centrale di Fukushima è stata uno dei rilevatori più lampanti del tasso di contaminazione raggiunto (la radioattività era di 7,5 milioni di volte superiore al normale).
Inoltre è con l'acqua che si raffreddano le centrali e nell'acqua vengono lasciate riposare per 5-10 anni le barre di uranio dopo essere state utilizzate nelle centrali. Dunque sbarrare un sì contro il nucleare significa anche garantirsi un accesso ad un'acqua sicura e non contaminata, mentre riaffermare che l'acqua è di tutti significa anche avere il controllo sugli usi che se ne fanno e sul suo stato. Se l'acqua è privatizzata, niente impedisce a chi gestisce una centrale nucleare di controllare localmente la risorsa idrica, di modo da bypassare i controlli e poter riversare liberamente i liquami radioattivi.
DEMOCRAZIA DIRETTA E PARTECIPATIVA
Vorrei concludere questa panoramica con una considerazione sul valore simbolico dello strumento referendario all'interno del processo di riappropriazione di due beni comuni fondamentali come l'acqua e l'energia. Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, l'unico – se si escludono le leggi di iniziativa popolare, così poco considerate in Parlamento – che permette ai cittadini di dire la loro, di incidere sulla configurazione societaria senza passare per interposta persona.
Ma il referendum è anche il punto culminante di un cambiamento sociale di cui tutti noi ci possiamo fare portavoce. Un cambiamento che è già in atto e che afferma che non tutto può essere considerato una merce, che esistono dei beni che appartengono a tutti e degli argomenti su cui tutti hanno il diritto di prendere decisioni. Il compito che ci spetta non si può ridurre all'atto di andare a votare. Quello sarà solo l'ultimo atto. Se vogliamo veramente riappropriarci della nostra facoltà decisionale, di quella sovranità che ci è assegnata dalla costituzione e sottratta, ogni giorno, da chi usa la politica come uno strumento per curare i propri interessi, dobbiamo darci da fare fin da adesso. Dobbiamo immettere le nostre conoscenze in rete, fare rete noi stessi. E per reti non intendo semplicemente il web, o internet; internet è solo un esempio di rete. La rete è piuttosto una forma, un modello sul cui stampo si configurano le relazioni sociali contemporanee. Dunque mettere un contenuto in rete significa condividerlo all'interno delle proprie reti di relazioni sociali, con i mezzi di cui si dispone. Si può fare un video e metterlo su Youtube, o realizzare un progetto assieme ad altre persone, così come si possono condividere le proprie informazioni con il barista che ti prepara il caffè la mattina, o con il fornaio o i colleghi di lavoro. Solo così sarà possibile diffondere il cambiamento. Solo così potremo sperare che il 12 e 13 giugno 25 milioni di italiani e più escano di casa e vadano a votare per i referendum.
Andrea degl'Inoccenti
11 aprile 2011