mercoledì 31 agosto 2011

DALLA FIRENZE CHE NON CONOSCE VACANZA…


Via Slataper e via Bardelli, entrambe situate nel quartiere di Rifredi, ospitano da diversi mesi due occupazioni del Movimento di lotta per la casa. Esperienze diverse, come il colore della pelle dei loro abitanti, che nel tempo hanno dato luogo a realtà altrettanto diverse. Circa 90 rifugiati politici somali, eritrei ed etiopi, reduci dalla tendopoli alla Fortezza, animano la prima, piccolo pezzo di Corno d’Africa a due passi da piazza Tanucci, mentre una cinquantina di occupanti dalla provenienza eterogenea danno vita alla seconda, nel cuore del Poggetto. Entrambe sono minacciate da uno sgombero che, almeno sulla carta, dovrebbe concretizzarsi intorno alla metà del prossimo mese di settembre. Dopo l’infame vicenda riguardante lo sgombero dello stabile di viale Matteotti, realizzato con un blitz a sorpresa nel bel mezzo di un agosto di stasi, di nuovo amministrazione comunale e forze dell’ordine ripartono all’attacco. Un copione già visto e destinato a ricorrere ancora chissà quante volte, quello che si prospetta: la proprietà che rivendica il pieno possesso dello stabile, con istituzioni e forza pubblica di conseguenza impegnate a dichiarare guerra ai più deboli dei deboli. Perché questo è il clima che si respira a Firenze da un po’ di tempo a questa parte: un clima di guerra e di odio. Contro chi fa politica dal basso, contro coloro che turbano il quieto vivere rifiutando le prevaricazioni, contro chi cerca di strappare con le unghie il minimo necessario per sopravvivere. Gli occupanti di via Slataper e via Bardelli, così come molti altri, sono colpevoli di aver cercato di riconquistare la propria dignità nella solidarietà reciproca e nell’autogestione, stanchi delle umiliazioni istituzionali realizzate a colpi di false promesse e soluzioni a breve termine. Stanchi di essere trattati come numeri inoltre, e di essere mercificati, nel caso specifico dei rifugiati politici, a vantaggio di amministrazione comunale e cooperative legate ad essa. Nella Firenze del modello toscano e dell’accoglienza, è doveroso mettere in luce politiche sociali che parlano il linguaggio dell’indifferenza, del disprezzo e della menzogna, quella che quotidianamente viene raccontata dai rappresentanti di Palazzo Vecchio, sordi verso coloro che rimangono esclusi dalle loro misere proposte. Ma le persone non sono ectoplasmi né pipistrelli, esistono e pretendono ciò di cui hanno bisogno e diritto, in una città a misura di turista, i cui record sono riscontrabili soltanto nel rapporto tra sfratti annui e numero di abitanti e nella percentuale di case sfitte. Questo corteo di quartiere vuole in primo luogo combattere la cecità bestiale, volontaria o meno, in cui Firenze sembra essere sprofondata. Aprire gli occhi per gettare luce sull’ennesima prepotenza, smascherandola in tutta la sua ingiustizia. Soprattutto in tempi di crisi violenta come quelli che stiamo vivendo è necessario rivedere i parametri morali e legislativi che regolano i rapporti sociali, ovvero legittimare quelle pratiche che puntano a garantire ciò che rappresenta un pilastro delle fondamenta di ogni vita umana: la casa. Per questo motivo diciamo NO con tutta la forza possibile allo sgombero delle occupazioni di via Slataper e via Bardelli, invitando al corteo tutta la Firenze solidale.
CORTEO SABATO 3 SETTEMBRE PARTENZA DA PIAZZA TANUCCI ORE 10.00

RIVOLTA A LAMPEDUSA:TUNISINI PROTESTANO CONTRO I RIMPATRI

29 AGOSTO 2011- é tardo pomeriggio quando pressoché 200 tunisini rinchiusi nel centro di Contrada Imbriacola hanno cominciato a protestare contro i rimpatri dopo aver ricevuto alcune telefonate da parte di connazionali che erano stati rimpatriati in Tunisia.
In serata hanno oltrepassato le reti metalliche cercando di raggiungere il centro dell'isola ed urlando in coro "Libertà".
Le forze dell'ordine hanno però dirottato la manifestazione verso il molo Favaloro, dove solitamente avvengono gli sbarchi. Lì i tunisini hanno bloccato la strada ed hanno continuato a protestare per diverse ore. Solo in tarda serata il corteo è stato indirizzato nuovamente verso il "centro di soccorso e prima accoglienza", dove però si sono verificatii alcuni scontri tra immigrati e forze dell'ordine.


Respingimenti in atto da mesi sulla rotta Tunisia-Lampedusa

La rivelazione da una fonte interna alle operazioni in mare. L’episodio di una settimana fa non è un caso isolato. Identificazione sommaria in mare e ordini dal Viminale caso per caso. Di solito non si applica ai soccorsi “Sar”
di Raffaella Cosentino
LAMPEDUSA – Per frenare l’arrivo di tunisini a Lampedusa il governo italiano attua da mesi operazioni di respingimento in mare, violando i diritti umani e le convenzioni internazionali. Il respingimento collettivo di 104 migranti avvenuto una settimana fa non è un caso isolato. Lo rivelano, dopo quell’episodio, fonti che partecipano alle operazioni di soccorso in mare e che chiedono di restare anonime. I respingimenti fanno parte degli accordi italo–tunisini e finora non erano stati svelati all’opinione pubblica.

Le unità navali della marina avvistano le barche di migranti che si dirigono a Lampedusa da ovest, seguendo la “rotta tunisina”. Le imbarcazioni sono chiamate anche “target” in gergo militare. Avvistato il target, l’unità della marina militare italiana avvisa il comando della guardia di finanza che è preposta alla difesa delle frontiere e al controllo dell’immigrazione irregolare. A quel punto si coordinano tra loro per sorvegliare le imbarcazioni cariche di migranti, verificandone la rotta, la velocità e le condizioni di navigazione. Quando si ritiene che la barca sia partita dalla Tunisia, viene raggiunta dalle motovedette o dall’unità della marina militare. I migranti vengono imbarcati sulla nave italiana e poi trasbordati di nuovo su una motovedetta tunisina. “E’ già successo perché rientra negli accordi bilaterali” spiegano le nostre fonti.

L’identificazione in mare è sommaria. L’elemento fondamentale è la rotta a ovest di Lampedusa, l’altro aspetto su cui si basa il respingimento sono i tratti somatici. Dalla carnagione dei migranti, i militari intuiscono a occhio se sono arabi, somali o subsahariani. Un’identificazione collettiva che non permette di valutare se sulla barca ci sono potenziali richiedenti asilo, visto che la domanda di protezione internazionale avviene su base individuale e riguarda la storia personale di chi fa richiesta. Come dimostrerebbe il fatto che uno dei migranti respinti il 21 agosto, arrivato a Lampedusa dopo essersi gettato in mare e ferito a una caviglia per evitare il rimpatrio, avrebbe dichiarato di essere un Saharawi, quindi un potenziale richiedente asilo. L’identificazione veloce fatta in mezzo al Mediterraneo stride anche con il decreto del governo approvato il 2 agosto dal Parlamento, secondo cui possono servire fino a 18 mesi per identificare un immigrato recluso in un Cie.
Non è la prima volta che l’Italia respinge in mare dei migranti. Nel 2009 questo tipo di operazioni, frutto del patto con l’allora alleato Gheddafi, suscitarono reazioni internazionali di condanna. A Strasburgo, l’Italia è sotto processo alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo la denuncia di 13 somali e 11 eritrei respinti in Libia il 6 maggio del 2009. Dopo l’ultima udienza del 22 giugno scorso si attende la sentenza. La differenza è che ora i respingimenti sono “fantasma” e si fanno in silenzio.

Dal primo al 21 agosto, data del primo respingimento di cui si è avuta notizia, sono sbarcate a Lampedusa 4.637 persone provenienti dalla guerra in Libia e 497 dalla Tunisia. Ma queste ultime avrebbero potuto essere molte di più, se non fossero state intercettate in mare e consegnate alle motovedette tunisine. Nel Mediterraneo, a largo di Lampedusa, dove migliaia di vite umane sono state salvate quest’anno dai soccorritori della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, un numero imprecisato di altri migranti, provenienti dalla rotta tunisina, non ha neppure visto le coste dell’Europa perché è stato bloccato prima.

Il tratto di mare fra Lampedusa, Malta e il nord Africa è sorvegliato palmo a palmo. I finanzieri hanno schierati tre pattugliatori, tre guardia coste e un’unità veloce. Ognuna copre una fascia oraria e un raggio d’azione tra le 18 e le 24 ore di navigazione. Gli elicotteri della guardia di finanza e della guardia costiera si alternano nelle missioni aeree quotidiane. In prossimità delle acque tunisine pattugliano un aereo Atlantic e due navi della Marina militare. I comunicati ufficiali dello Stato maggiore della Difesa parlano di semplice “sorveglianza per l’emergenza immigrazione in applicazione dell’intesa italo-tunisina” ma in realtà la procedura collaudata in questi mesi va ben oltre.

Diverso il caso delle operazioni di soccorso, coordinate dalla Capitaneria di Porto, chiamate Sar “Save and Rescue”. Se la barca è in difficoltà, finanzieri e uomini della guardia costiera intervengono per salvare i migranti dal naufragio e li trasferiscono al molo Favaloro di Lampedusa per essere assistiti dal personale sanitario. Ma il 21 agosto, anche un intervento Sar si è trasformato in un respingimento. L’
ordine è arrivato direttamente dal ministero dell’Interno che decide caso per caso se i migranti devono essere respinti.

martedì 30 agosto 2011

Sesto dirigente contadino ucciso quest'anno in Para.Saremo i prossimi a morire, afferma Trocate, dirigente MST dello stato (26/8/2011)

Le battaglie dei contadini e dei braccianti in generale in ogni parte del Mondo sono sempre una spina nel fianco al capitalismo ed alle multinazionali,per questo siamo presenti e solidarizziamo con tutte le lotte per la giustizia sociale.

Il 25 agosto è stato ammazzato un dirigente dei lavoratori rurali del Para,
Valdemar Oliveira Barbosa, di 54 anni, alle 10 del mattino, con colpi di
pistola indirizzati al volto e al collo, nel quartiere São Felix, alla
periferia di Maraba. I colpi sono stati sparati da un uomo a bordo di una
moto, guidata da un'altra persona. Entrambi erano a volto coperto.
Conosciuto come Piauí, Valdemar è il sesto dirigente contadino della
regione ucciso quest¹anno da pistoleiros. Nel mese di maggio Valdemar ha
denunciato che era stato minacciato di morte da Vicente Correa, proprietario
della fazenda California, nel municipio de Jacundá, dove Valdemar aveva
guidato una occupazione nel 2010. Nello scorso settembre la fazenda è stata
sgomberata. Valdemar tuttavia progettava di occuparla di nuovo e
probabilmente per questo è stato ucciso.
L'avvocato della CPT della regione, José Batista, sottolinea che la morte di
Valdemar e degli altri lavoratori rurali nella regione non sono casi
isolati. Alla base dei crimini c'è il clima di alta tensione creata dai
conflitti di interesse tra latifondisti, imprese minerarie e famiglie senza
prospettive.Questa è una regione di espansione dell'agrobusiness e degli
interessi minerari. Questo provoca una immigrazione molto consistente
soprattutto di famiglie del Nordest, ma non ci sono politiche pubbliche di
riforma agraria e di inclusione per queste famiglie. Le alternative che
restano loro sono solo le occupazioni urbane o rurali sostiene
l¹avvocato.Le occupazioni rurali in particolare sono state oggetto di
intense repressioni da parte dei latifondisti. Ci sono omicidi sui quali in
genere non si indaga. E' chiaro che l'impunità incoraggia il diffondersi
della violenza.
Viviamo in una situazione di ansia, pensando che saremo i prossimi a
morire si sfoga Charles Trocate, dirigente del MST, che accusa i piani del
governo contro la violenza di scarsa efficacia e l'attuale gestione del
governatore Simão Jatene (PSDB-PA) di scendere a compromessi con il
latifondo e di utilizzare la repressione invece del dialogo. La precedente
governatrice Ana Julia ­ continua Trocate ­ non aveva un progetto di
politica agraria ma dialogava con i movimenti contadini,non c'era allora
fuoco incrociato su di noi.

Segnala questo messaggio HONDURAS, Urgente: Criminalizzazione e repressione del Movimiento Campesino del Bajo Aguan

L' articolo pubblicato oggi (25/08) dal giornale "La Prensa", proprietà di Jorge Canahuati Larach, dal titolo "Il « Comandante » dirige 300 uomini nell'Aguan", fa parte della campagna diretta ad arte per creare un clima di guerra in Honduras, il cui fine é il rafforzamento del sistema della "piantagione", basato sul latifondo e sullo sfruttamento della mano d'opera, che ha prodotto enormi profitti per un gruppuscolo di impresari produttori di palma africana.
Il conflitto agrario in Honduras si radicalizza in seguito all' approvazione, nel 1992, della Legge di Modernizzazione Agricola, che ha permesso di aggirare gli ostacoli esistenti in materia di proprietà terriera, dando luogo a enormi piantagioni concentrate nelle mani dei produttori delle palme della morte: Miguel Facussé, Reynaldo Canales e René Morales Carazo.
Attualmente in Honduras si contano più di 600mila famiglie che soffrono a causa della carenza di terra, nonostante ciò lo stato honduregno non ha elaborato nessuna strategia in materia agraria che possa risolvere la problematica sociale che affligge il paese.
La crisi del Bajo Aguan nasce come conseguenza del sistema della piantagione, che inizia a stabilirsi dai primi anni del '900, quando le compagnie produttrici di banane si appropriarono delle fertili valli dell' Honduras. Nel 2000, il successo degli agrocombustibili replica i crimini del passato, con l'aggravante che milioni di persone si trovano espropriate.
La militarizzazione sotto l'egida di Xatruch II, forza operativa integrata, la presenza di paramilitari che si muovono impunemente nella regione, la campagna mediatica che segnala la presenza di gruppi guerriglieri, ci fanno temere un'aggressione militare contro le nostre comunità contadine nel Bajo Aguan, specialmente quelle localizzate nella riva sinistra.
La fertile immaginazione dei giornalisti e degli organismi di intelligence, dai quali proviene la segnalazione della presenza del « Comandante » e dei 300 uomini armati é una vergogna per le Forze Armate e per il Ministero della Sicurezza che stanno esercitando uno stretto controllo sulla zona, in particolar modo dall'inizio dell'amministrazione di Porfirio Lobo e dei suoi assessori colombiani alla « sicurezza democratica ».
Il violento sgombero effettuato nella comunità di Rigores, dove sono state distrutte 114 abitazioni, oltre la chiesa e la scuola, é un chiaro segnale dell'attitudine che stanno assumendo i palmeros della morte, i suoi sicari e le forze repressive dello stato.
Noi, membri del movimiento campesino della riva sinistra del Bajo Aguan, temiamo per l'integrità delle nostre vite e delle nostre comunità, di fronte all'ondata repressiva destinata a compiacere l' elite al potere, che indica la problematica dell'Aguan come la ragione principale della perdita di investimenti di capitale straniero e nazionale nel paese, sostenendo che non vi é alcuna protezione della proprietà privata.
E' urgente fermare il massacro nel Bajo Aguan, sostienici mandando lettere alle autorità honduregne, chiedendo:

·         il rispetto dei diritti umani dei contadini e delle contadine degli insediamenti: Aurora, Concepción, Rigores,  Marañones, La Confianza, Lempira, movimiento de Orica e MARCA.
·         La fine della politica persecutoria nel Bajo Aguan

·         Una strategia statale che possa risolvere la grave problematica agraria nazionale che colpisce i contadini honduregni.

·         La demilitarizzazione immediata della zona e il controllo dei gruppi paramilitari che si sono impadroniti della zona.


Inviate le lettere a:
Señor Porfirio Lobo Sosa

Presidente de Honduras
Casa Presidencial

Tel: (504) 2221-4545
Fax: (504) 2221-4570info@presidencia.gob.hn

Señor Oscar Alvarez

Ministro de Seguridad
Teléfonos: (504) 2220-4298 y (504) 2220-4299

Fax: (504) 2220-1711

Señor Juan Orlando Hernandez

Presidente Congreso Nacional

Barrio La Hoya, Tegucigalpa, Honduras
Teléfonos: (504) 2220-0188 (504) 2220-4031 (504) 2220-4790 (504) 2220-4831 (504) 2220-4864 (504) 2220-4865 (504) 2220-5500 (504) 2220-5500