La rielaborazione di un intervento al FestivalStoria di Torino
di Shlomo Sand
Il ricorso al
termine fluido di «popolo», ha conosciuto molti avatar nell'epoca
moderna. Se in un lontano passato, il termine si applicava a gruppi
religiosi come «il popolo di Israele», il «popolo cristiano», o ancora,
«il popolo di Dio», nei tempi moderni, il suo uso è diretto alla
designazione di collettività umane che hanno in comune componenti
culturali e linguistiche laiche.In
generale, considerando il periodo precedente l'avvento della stampa,
dei libri, dei giornali, e dell'educazione controllati dallo Stato, è
molto difficile utilizzare il concetto di «popolo» per definire un
gruppo umano.
Un unico ceppo
Finché
il livello di comunicazione tra le tribù da un villaggio all'altro era
debole ed episodico, finché il miscuglio di dialetti differiva secondo
le vallate, e il contadino o il pastore disponevano di un ristretto
vocabolario, limitato al proprio lavoro e alle proprie credenze
religiose, la realtà dell'esistenza dei popoli, può essere seriamente
messa in discussione. La definizione di «popolo» relativa a una società
di contadini analfabeti, mi è sempre sembrata problematica, e intrisa di
un inquietante anacronismo
Sempre legati ai documenti scritti,
trasmessi, all'occorrenza, dai centri di potere intellettuali del
passato, gli storici sono stati imprudentemente inclini a generalizzare,
e ad applicare alle società, nel loro insieme, le identità proprie di
un sottile strato di élites, di cui davano testimonianza i documenti
storici. Nei regni e principati, dotati di un linguaggio amministrativo,
per la stragrande maggioranza dei soggetti, il grado di identificazione
con l'apparato statale era, nella maggior parte dei casi, molto vicino
allo zero. Se una forma di identificazione ideologica col potere è
potuta esistere, essa era legata alla nobiltà terriera e alle élites
urbane; queste compiacevano il sovrano, e davano una base al suo potere.
Cinquecento anni fa non esisteva il popolo francese, italiano o
vietnamita, e, parimenti, non c'era neppure un popolo ebraico disperso
per il mondo. Esisteva invece, fondata sulla pratica del culto e sulla
fede religiosa, una importante identità ebraica, più o meno forte a
seconda del contesto e delle circostanze; più le componenti culturali
della comunità erano lontane dal culto, più si contaminavano con le
pratiche culturali e linguistiche degli ambienti non ebrei che le
circondavano.
Le considerevoli differenze nella cultura quotidiana
tra le varie comunità ebraiche, hanno costretto gli storici sionisti a
sottolineare un'origine «etnica» unica: la maggior parte, se non tutte
le comunità ebraiche, deriverebbero da uno stesso ceppo: quello degli
ebrei antichi. La maggior parte dei sionisti non pensavano a una razza
pura, tuttavia quasi tutti questi storici, hanno fatto riferimento a
un'origine biologica comune come criterio decisivo di definizione di
appartenenza allo stesso popolo.
Dal seme di Adamo
Così
come i francesi erano persuasi di avere come antenati i Galli, così
come i tedeschi sono stati nutriti nell'idea di essere discendenti
diretti degli ariani teutonici, così anche gli ebrei dovevano sapere di
essere gli autentici discendenti degli ebrei fuggiti dall'Egitto. Solo
questo mito degli «antenati ebraici» poteva giustificare la
rivendicazione di un diritto in Palestina; sono in molti a esserne
ancora convinti, ai nostri giorni. Ciascuno sa che, nel mondo moderno,
l'appartenenza a una comunità religiosa non costituisce diritto di
proprietà su un territorio, mentre, al contrario, un popolo «etnico»
trova sempre una terra che possa rivendicare come quella dei suoi
antenati.
Ecco perché, agli occhi dei primi storici sionisti, la
Bibbia ha smesso di essere una impressionante narrazione teologica, per
divenire un libro di storia laica il cui insegnamento è impartito a
tutti i bambini israeliani ebrei, dal primo anno delle elementari fino
alla maturità. Sulla base di questo insegnamento, il popolo d'Israele
non è più costituito da «gentili consacrati», ma è diventato nazione
direttamente dal seme di Abramo, così, quando l'archeologia moderna ha
cominciato a dimostrare che non ci fu l'esodo dall'Egitto, e che il
grande regno unificato da Davide e Salomone non è mai esistito, la
notizia è stata accolta da reazioni dure e imbarazzate da parte del
pubblico laico israeliano.
La
secolarizzazione della Bibbia ha avuto luogo in parallelo con la
nazionalizzazione degli «esuli». Il mito costituito dall'esilio del
«popolo ebreo» da parte dei romani, è diventato la suprema cauzione dei
diritti storici sulla Palestina, costruito, secondo la retorica sionista
in «Terra d'Israele». Assistiamo qui a un processo particolarmente
sorprendente di «formattazione» di una memoria collettiva: così, mentre
tutti gli studiosi di storia ebraica nell'Antichità hanno sempre saputo
che i romani non hanno esiliato la popolazione della Giudea (non si
trova, d'altra parte, la minima ricerca storica su questo tema), il
resto dei mortali è stato convinto, e lo è ancora, che l'antico «popolo
d'Israele» è stato strappato con la forza alla sua patria, così come si
dichiara solennemente, nella Carta d'Indipendenza dello Stato di
Israele.
Rampolli illegittimi
Se
non c'è stato, in passato, un popolo ebreo, il sionismo non è forse
riuscito a crearlo nei tempi moderni? Ovunque, nel mondo, quando si è
trattato di creare le nazioni, ossia dei gruppi umani rivendicanti per
se stessi una sovranità, o in lotta per conservarla, sono stati
inventati dei popoli dotati di una lunga anteriorità, di origini
storiche lontane. Il movimento sionista ha proceduto allo stesso modo.
Tuttavia, se il sionismo è stato in grado di immaginare un popolo eterno
a titolo retrospettivo, non è riuscito a creare, in prospettiva, una
nazione ebraica mondiale. Gli ebrei di tutto il mondo hanno oggi la
possibilità di emigrare in Israele, ma la maggior parte di essi hanno
scelto di non vivere sotto una sovranità ebrea e hanno preferito
conservare la nazionalità di altri paesi.
Se il sionismo non ha
creato un popolo ebreo mondiale, e ancor meno una nazione ebraica, ha,
fatto tuttavia nascere due popoli e, anche, due nuove nazioni, che esso
recalcitra purtroppo, a riconoscere, considerandoli «rampolli»
illegittimi. Esiste, oggi, un popolo palestinese, frutto diretto della
colonizzazione, che aspira alla propria sovranità; esiste anche un
popolo israeliano, pronto a difendere, con totale abnegazione, la
propria indipendenza nazionale. Questo popolo - a differenza di quello
palestinese - non beneficia di alcun riconoscimento, benché disponga di
una propria lingua, di un sistema generale di educazione, di una
produzione letteraria, cinematografica e teatrale che esprime una
cultura quotidiana viva e dinamica.
Movimenti incrociati
I
sionisti, nel mondo, possono fare dei doni a Israele, esercitare una
pressione sui governi dei loro paesi a favore della politica israeliana,
ma, nella maggior parte dei casi, non comprendono la lingua della
nazione che dovrebbe essere «la loro», e si astengono dal raggiungere il
«popolo che è emigrato nella sua patria» e evitano di inviare i loro
figli a partecipare alle guerre mediorientali. Nel momento in cui queste
righe sono vergate, il numero di israeliani che emigrano verso i paesi
occidentali, si rivela superiore a quello dei sionisti che vengono a
stabilirsi in Israele.
(Traduzione di Francesca Chiarotto)
Shlomo Sand, docente all’Università di Tel Aviv, è autore del saggio “L’invenzione del popolo ebraico” pubblicato dalla Rizzoli (2010)
VIDEO: Shlomo Sand - L'invenzione del popolo ebraico
FestivalStoria 2011 - Università di Torino
http://www.youtube.com/watch?v=Q6_xrgPGG1o